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Nostalgia 2

Ho nostalgia di tutto. Incredibile è come alle volte si possa sentire tanta nostalgia. Ho addirittura nostalgia di persone che sembravano non avere un particolare peso nella mia vita ma per il solo fatto di averle incontrate, incrociate ne diventano una parte indelebile. Gente apparentemente estranea ma che contribuiva a dare senso e continuità al mio quotidiano. Del ragazzo dei giornali che si ostinava a suonare il campanello all’alba, dell’uomo che passava a liberarmi dell’immondizia, del bellissimo sorriso del lavandaio, della tabaccaia dai denti anneriti dal betel, del povero storpio che mendicava con tenacia nel trafficato incrocio di Garia, del sorrisetto sardonico del gatekeeper…quello magro. Con molti di loro ho solo scambiato poche parole in un bengali traballante, ho faticato a comprenderli e a farmi comprendere, abbiamo riso dell’impossibilità di capirci e ci siamo stupiti dell’efficacia della nostra comunicazione. Non mi mancano certo un familiare, un caro amico o un dolce amante ma provo comunque una forte nostalgia per tutto quello che è stato e che so non sarà mai più in quello stesso identico modo.

Ogni viaggio porta con sè anche un ritorno. E’ bellissimo avere la consapevolezza che in fondo quando torni le cose non sono poi così cambiate, i vecchi e cari amici si sposano, comprano casa, cambiano lavoro, hanno figli ma li scopri, miracolosamente, sempre uguali, tali e quali a quando li hai incontrati tra i banchi dell’università o nel vecchio appartamento di periferia, o in piazza bevendo uno spritz; i genitori invecchiando ti amano ancora di più e in famiglia le piccole liti restano, insomma tutto cambia nella forma ma le cose importanti restano.


Nostalgia

Winter was about to set in, a weeping sky and a cold breeze

Were waving their hands to me like in a greeting, when I,

 a stranger come from the far west  left those eastern lands.

A short sojourn, that what it was.

I looked homewards wondering whether I will come back again

I asked myself “ Will I ever return to these streets?”  Theatre of my lust for you.

“Will I ever see the faces I have known?”

“Will I be soothed by your warm embrace elsewhere?”

Now I’m sitting at a bar holding my steaming cup of black coffee,

when the storm of memories all of a sudden make my heart throbbing wildly

and lightening flash reveal your face, bent over mine in satisfaction,

while jazz songs echoed and reverberated in the sky.

I see the morning lights and hear the deafening chorus of crowds, Kolkata is awakening,

So I am, nesting my head in the hollow of your neck.

We like each other so tremendously that our lips couldn’t contain smiles,

The reverie of your kiss is haunting my sleep night after night

I see your wistful eyes look into mine while I whisper in your ear “I don’t want to leave”.

 A too short sojourn it was

Flowers had no time to blossom,

Snow had no time to melt

We had just no time

And yet this few days interlude spent into your arms

will never fade away from my life.


Kolkatan awakening

Il sole sorge in fretta ai tropici. Erano le 5 del mattino e la stanza era piena di luce. Entra con tale prepotenza, quasi sgomitando dalle finestre senza tende e non mi lascia più dormire. Sento i miei sensi riaversi lentamente dal torpore notturno, sento i passi di una vita che scorre veloce, instancabile, senza sosta e che mi tengono sveglia controvoglia. Cani che abbaiano, uomini che mercanteggiano, clascon che ringhiano, giovani chiacchiere. Improvviso arriva un frastuono di odori, odori di corpi sudati, di carne andata a male, di latrine aspre, di fiori freschi e frutta rovente già alle prime luci dell’alba. In breve, un insieme di tutto quello che è insieme piacevole e irritante, che attrae e repelle, che seduce e disgusta di questa città.

Scendo per strada, voglio tornare a casa, decido di prendere un taxi. Dopo pochi km il tassista mi dice che è tutto bloccato. Un bandh (sciopero). Gli autorickshawallas blaccano tutta l’area di Jadavpur per la mancanza di GPL alle stazioni di servizio. E’ allora che faccio l’ordinaria scoperta, ogni volta è sempre la più importante – la gente. A poco a poco tutti abbandonano taxi, autorickshaw, bus e si avviano a piedi chissà dove. E’ fantastico accorgersi come questo flusso riesca ad essere un tutt’uno col paesaggio, con quella luce, quegli odori. E’ sorprendente guardare al legame tra la gente e il territorio che abita, da quanto fermamente ogni popolazione sia radicata ai proprio luoghi, quanto sia capace di plasmarli, e quanto questi, in cambio, riescano a modellare le fisionomie di chi li abita. Era una folla ordinata, non c’era rabbia né rassegnazione per il non previsto sciopero. Ancora più sorprendente è stato l’essere consapevole del mio essere “bianca”, che fatica a tollerare scioperi improvvisi, pallida, debole, sconfitta dal caldo e dall’umidità, assetata e stanca, leggera nota stonata in quell’insieme perfetto, sincrono, armonioso.

Era quasi mezzogiorno, quando, ormai a casa, mi metto davanti al computer a leggere le poche mail ricevute. Oggi sembrava che le brutte sorprese mi rincorressero. Apro la mail di Angela…l’aspettavo. I miei occhi saltano sulle parole non leggo tutto. La piccola Phrew se n’è andata. Torno più volte su quelle poche righe…come se non capissi. Durante l’ultimo viaggio in Thailandia ero stata, insieme ad Angela, a trovarla in ospedale. I forti, continui e non curati attacchi epilettici l’avevano indebolita fina a ridurla ad un dolcissima bambola di pezza, un sondino nasogastrico le permetteva di alimentarsi, le sue mani non aveva mai tenuto un giocattolo, le sue gambe non avevano mai retto il peso del suo corpo ma se aveste visto i suoi occhi e il suo sorriso…riusciva chiaramente a riconoscere Angela, lei che le aveva dato un’alternativa al nero carbone del Pharam 6 (uno dei 2000 slum di Bangkok).

Da buona agnostica non credo certo nei miracoli ma quel giorno, lì al Sirikit Hospital di Bangkok, ho assistito a qualcosa che goffamente definirei non ordinario, forse non completamente esatto, ma sembrava quasi innaturale. Il sorriso vero, sincero, felice di una bambina che è visibilmente soffriva e la forza, la dedizione, la tenacia, anche testardaggine a volte, di colei a tutti i costi ha tentato di darle un’ esistenza dignitosa. Adesso andrò a letto, è ancora chiaro il ricordo del dolce sorriso di Phrew. Domattina un altro risveglio a Calcutta. Spero di ritrovare gli stessi odori, gli stessi suoni, la stessa gente per strada, gli stessi bambini, consapevole che a volte cose che si considerano innaturali, difficili, irraggiungibili…accadono.


Gushing Life

Chiunque, anche colui che, come me, mostra il più strenue e ostinato interesse e curiosità per Calcutta, passa quella terribile, prima settimana dove lo shock e la nausea prendono il sopravvento. Quella prima settimana in cui hai la netta sensazione che non esista posto più crudele e disperato mentre a poco a poco, col passare del tempo, si chiarisce nella mente, come non esista posto più ricco e pieno di vita. La vita ti pulsa intorno, ad ogni angolo volti lo sguardo puoi vedere i suoi vortici eccitanti, febbricitanti, orgogliosi e testardi.

Non ho visto tanta vita vibrare intorno tanti libri.

Ieri si è concluse l’annuale Book Fair, la fiera internazionale del libro di Kolkata, tra gli eventi più attesi della città. Anche in altre città indiane, Delhi, Mumbai, Madras, si svolgono fiere del libro ma nessuna sembra abbia lo stesso successo della fiera di Calcutta. La gente non solo visita la fiera ma compra i libri. Sinceramente non so da dove vengano i soldi ma la gente a Calcutta compra i libri, adora i libri, trova i soldi per andare a teatro o ad un concerto, tutti sembrano avere un gusto e passione particolare per le arti. Molta della gente che conosco scrive o ha scritto libri, canta, balla, recita con qualche gruppo di teatro, suona uno strumento, non a torto viene definita la capitale culturale dell’India. Quest’anno la fiera non era iniziata nel migliore dei modi possibili. A causa dei famosi e frequenti “power cuts” quest’anno la Fiera ha avuto un’inaugurazione a dir poco “buia”, alzando polveroni di polemiche sul già abbastanza polveroso suolo del Milan Mela, dove si svolgeva la Book Fair, nonché sulla corporazione che la gestisce. Tutte le maggiori case editrici di Calcutta e di tutta India non possono mancare questo appuntamento. Più di 650 stalls presenti, più di un milione e mezzo di biglietti venduti. Orde di gente in attesa ai counter per poter compare il biglietto.  Ogni anno la Fiera ha un tema principale e quest’anno è stato il Messico a presentare la sua letteratura (Octavio Paz è amatissimo) e una serie di programmi culturali ai tanti avidi e curiosi Kolkatans.

Ma ieri la chiusura della Book Fair non è stata l’unica ragione che ha creato caos e paralizzare, a cause del traffico, le strade di Calcutta. 

Ieri, infatti, Calcutta era ancora in ginocchio.  Ancora una volta paralizzata, soffocata, da un traffico di gente e mezzi, inquinante e randagio.

Centinaia di autobus che traboccavano passeggeri, che ne riempivano i tetti, tutti venuti da villaggi vicini per partecipare ad una manifestazione indetta dal CPI (M), tutti di nuovo uniti dopo la morte di Joti Basu, uno dei più grandi leader del CPI e di tutta l’India, avvenuta lo scorso gennaio. Le grandi arterie della città sanguinavano, tinte di rosso dallo sventolio delle bandiere, inondate da più di 600 mila persone che hanno marciato, manifestato, e anche deturpato, il Brigade Parade Ground. Io, dimenticando completamente del rally, sono scesa, con un amico, alla fermata Espanade della Metro e lo spettacolo che mi si è aperto davanti è indescrivibile. Ho avuto paura di essere travolta da una folle che sembrava quasi disumana. Tutto era completamente bloccato, a muoversi solo i vibranti passi della 650mila partecipanti. Abbiamo camminato per 2 ore, tra strade trafficate di gente e mezzi di ogni tipo, prima di poter raggiungere una via dove il traffico sembrasse scorrere..ieri l’unione di un rally del CPI e la chiusura della Book Fair hanno causato un altro piccolo infarto al cuore di Calcutta.


Saraswati Puja

Finalmente il tanto atteso Saraswati Puja è arrivato.

Ieri infatti si celebrava la dea Saraswati, dea dell’intelligenza, della conoscenza, della cultura, delle arti e della musica, dea particolarmente adorata dagli hindu del West Bengal. Consorte di Brama, lei rappresenta la conoscenza stessa, l’Assoluta Verità. Tutte le scuole, collage, università, tutte le famiglie che hanno un figlio o un nipote che studia o che svolgono lavori non manuali, dove l’intelletto è coinvolto, hanno ieri festeggiato e ringraziato la Dea Saraswati. Fin dal giorno prima si è iniziato ad abbellire il baldacchino che avrebbe ospitato la statua della Dea, a me è stato dato l’arduo compito di disegnare l’Alpona (e dire che fine a due giorni fa non avevo idea di cosa fosse). Col termine “Alpona” ci si riferisce a delle decorazioni, un po’ più elaborate di quello che intravedete nella foto, realizzati di fronte la statua della Dea con una pasta di riso e decorati con fiori o colorate.

 In entrambi i progetti dove lavoro sono state allestite 2 diverse statue di Saraswati e tutti i bambini hanno reso omaggio alla dea attraverso i Puja che non sono altro che atti di adorazione verso il Dio attraverso l’offerta di frutta, fiori, preghiere. Durante questa agiornata gli studenti mettono i loro libri accanto la statua della Dea e i più piccoli vengono introdotti al mondo della scrittura.

A pranzo abbiamo mangiato il pasto “tipico” del il Saraswati Puja, assolutamente vegetariano: Kichuri, riso e daal fatti  bollire insieme ad altre verdure e un piatto a base di verza, patate e curry. Domani la statua della Dea verrà messa via e conservata per un intero anno mentre quella dell’anno precedente verrà, attraverso un atto cerimoniale, lasciata andare lungo il fiume.

Visto l’importanza della celebrazione le mie colleghe mi hanno letteralmente pregato di non recarmi al Puja con i soliti e mezzi logori jeans ma di indossare il Sari, e così ho fatto. Ovviamente hanno dovuto “aiutarmi” a metterlo su. 7 metri di bellissima seta avvolti in modo sublime dall’abile Shuleka (che vedete con me nella foto) intorno al mio corpo. Non ho mai indossato un abito così impegnativo, bello, seducente, che lascia scoperto parte del fianco e la schiena.

Spero solo di essere capace di riuscire a rimetterlo anche da sola 🙂